È impossibile trasmettere a chi è rimasto a casa quel che si prova lassù
Paolo Cognetti - Le otto montagne

di STEFANO MINOTTI

 

Pietro, ragazzo di città, e Bruno, figlio di un paesino delle alpi piemontesi, sono i protagonisti del primo romanzo di Paolo Cognetti. I due si conoscono un’estate, quando la famiglia del primo, appassionata di montagna, scopre il villaggio di Grana, dove trascorreranno molte delle loro estati e, lontani dagli ambienti cittadini di Milano, si riscoprono nuovamente felici. Qui nasce tra i due una grande amicizia, tema centrale di questo romanzo di formazione e di educazione sentimentale, ambientato tra una vetta e una baita, che ha la montagna sempre come sfondo perché, come Cognetti stesso dice nel suo romanzo, «qualunque cosa sia il destino, abita nelle montagne che abbiamo sopra la testa». Il rapporto tra i due – ragazzi prima, adulti poi – viene raccontato nell’arco di un trentennio circa. E un legame silenzioso, fatto di gesti, di azioni concrete (tanto che il cuore della storia è una casa costruita da Bruno e Pietro), più che di parole, rafforzato dalla stessa curiosità per esplorazioni e scoperte, tra case abbandonate, mulini e ripidi sentieri, dallo stesso modo di vivere la montagna come un’educazione. Da questa materia, nasce un breve, acuto romanzo che ha il dono della semplicità e della molteplicità, perché parla di sentimenti universali, come l’amicizia, la paternità e il destino.

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Cognetti, scrittore di città che sente forte il fascino della natura alpina, ha un modo di guardare la montagna che dimostra devozione e un modo di descriverla totalmente anti-retorico. Ne risulta un italiano semplice, efficace, senza aggettivi, formato dalla “lingua concreta delle cose”, quella lingua imparata in montagna, che è una lingua diversa da quella dei libri, più precisa e affascinante. È in qualche maniera una lingua che però non può appartenere allo scrittore, cresciuto tra i palazzi della grande Milano e dunque per così dire figlio adottivo degli ambienti montani. Nonostante ciò, per descrivere l’ambiente naturale che fa da cornice alla storia, l’autore trova parole giuste, termini esatti che rispettano la precisione verbale necessaria agli ambienti di montagna, parole, quelle usate da Cognetti che si trovano solo in pochi romanzi italiani. È palese alla lettura la presenza di una memoria letteraria proveniente dai più celebri libri dedicati alla montagna, soprattutto quelli di autori italiani. È lo stesso autore ad indicare all’interno del suo romanzo, tramite la voce del narratore, un manuale tecnico dell’escursionismo quale debito letterario (“rileggevo le pagine della guida del C.A.I. come fosse un diario, imbevendomi della loro prosa d’atri tempi”), ma tra le influenze letterarie che hanno sicuramente contribuito Cognetti ad avvicinarsi a questo genere, impossibile non pensare ai brevi racconti di Mario Rigoni Stern o ai romanzi di Mauro Corona, autore che ha costruito la propria carriera sulla narrazione della montagna. Ma come non pensare anche a Erri De Luca (Il peso della farfalla e Sulla traccia di Nives su tutti), napoletano appassionato delle rocce appenniniche e dolomitiche e, perché no, persino Ferro di Primo Levi, che come nel romanzo di Cognetti narra di una storia d’amicizia nata tra le montagne. Rispetto a tutti questi autori è però percepibile la distanza che esiste tra il raccontare un luogo in cui si è nati, cresciuti ed educati e un “luogo-altro”, lontano da quelle che sono le proprie radici, la distanza tra raccontare la montagna e viverla.  E forse ne è cosciente persino l’autore di quanto sia, come ammesso dallo stesso protagonista all’interno del romanzo, “impossibile trasmettere a chi è rimasto a casa quel che si prova lassù”.

Paolo Cognetti, Le otto montagne, Torino, Einaudi, 2016, pagg. 208, € 9,99.